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Gioco libero o gioco liberato? Riflessioni attorno al significato di gioco in psicomotricità educativa di Vera Pagani- Il salto nel cerchio

Molto è stato scritto (e probabilmente si scriverà) sul gioco infantile, tanto per la sua effettiva portata in epoca evolutiva, tanto per la sua riattualizzazione nelle riflessioni pedagogiche contemporanee.

Il nostro intento è provare a tradurre alcuni concetti con esempi concreti.

Forse non è facile comprendere cosa sia esattamente un laboratorio di psicomotricità educativa per i non addetti, ma anche per gli “esperti” a volte diventa faticoso darne una breve descrizione.

In effetti tiene insieme tanti aspetti del/la bambino/a: gioco spontaneo, sviluppo motorio-cognitivo-emotivo. In più ricorrono altri concetti chiave come gruppo, relazioni, espressività.

Andiamo con ordine. Magari qualche scatto da dentro la sala ci può sostenere per dare sostanza a tutte queste parole.

In questo articolo ci concentreremo sulla dimensione individuale per partire da un punto fondamentale:

ma il gioco psicomotorio, in fondo, non è gioco libero?

Nel vissuto del bambino sì, perché è libero di muoversi, scegliere, decidere secondo i propri tempi.

La libertà che la/lo psicomotricista gli offre è la spontaneità di sperimentarsi ed orientarsi secondo il proprio desiderio che fa emergere il piacere del movimento e della scoperta, il desiderio di incontrare, il rispecchiamento empatico che l’adulto di fronte gli rimanda come esperienza buona e positiva per lei/lui.

Nei momenti di gioco libero c’è la presenza dell’adulto, ma può non esserci il pensiero dell’adulto sul senso del suo gioco; per cui per un tempo non stabilito a priori, può muoversi secondo le “regole” ordinarie del suo contesto, ma il suo fare-disfare-inventare, procede indipendentemente dall’adulto; infatti non è indispensabile che vi sia un’interazione, una reciprocità ed un pensiero che osserva-sostiene-rilancia, che dia continuità di senso alla sua esperienza.

Qualche sequenza estrapolata da un laboratorio di psicomotricità educativa extrascolastica può fungere da esempio. Proviamo a seguire passo dopo passo l’evoluzione di questo incontro.

In queste prime due foto di inizio seduta Nadia (nome di fantasia) esprime alla psicomotricista il desiderio di giocare con la palla che le viene offerta. Esaurito qualche canestro, qualche palleggio, Nadia intraprende una ricerca corporea che, non solo le consente di muoversi con l’oggetto scelto, ma anche di orientare qualitativamente il gioco verso una dimensione senso-percettiva, mentre la psicomotricista con delle affermazioni e verbalizzazioni sottolinea il suo agire.

Quando, ad un certo punto, la psicomotricista coglie un esaurirsi di questa sperimentazione osserva uno “stallo”, senza però che Nadia abbia abbandonato definitivamente la palla.

Entrambe si guardano attorno e si soffermano sul materiale presente in seduta, pare che…si possa costruire qualcosa e Nadia vuole costruire una palla tutta sua.

La palla è pronta… per cosa esattamente? Ancora Nadia non sa… la psicomotricista mostra una possibilità: un cerchio che si infila in un cono può diventare un nuovo canestro?Nadia si mette all’opera, è lei l’artefice di questa nuova occasione: è vero che la prende dall’adulto, ma ora è libera di costruire secondo un’organizzazione spaziale che definisce con una sequenza precisa, un ordine che conferisce anche un’ estetica in un luogo prima vuoto e poco interessante.

E poi?

Il suo gioco si è trasformato, ma prosegue secondo il bisogno iniziale: sperimentarsi con il corpo e cimentarsi in abilità coordinative, arricchito senza che l’adulto si sostituisca. La bambina rimane la protagonista delle sue scoperte.

E poi?

Siamo agli sgoccioli, il momento in cui la psicomotricista annuncia che l’incontro si sta per concludere.

Nadia ritorna all’angolo dei materiali e aggiunge nuovi elementi alla sua pallina, un oggetto che, si capisce, non è più solo un oggetto, è qualcosa manipola con cura e che impreziosisce di dettagli, forse perché è qualcosa di speciale, che potrà portare tra poco con sé e dentro di sé.

Il ruolo della psicomotricista è stato tenere i fili del suo gioco, per offrire un’esperienza significativa che la bambina può introiettare come buona e piacevole per sé.

L’educazione, scrive Luigina Mortari (2019:13) “va intesa come l’aver cura di offrire ai giovani quelle esperienze che muovono il desiderio di apprendere le pratiche necessarie alla ricerca di ciò che è irrinunciabile per autenticare il proprio tempo”.

Ed è quello che ci auspichiamo tutte le volte che entriamo in seduta, “far fiorire di senso il tempo del vivere” (ibidem) il loro e il nostro, perché il gioco infantile sia “liberato” dalle finalità adultocentriche che rischiano di eclissare il tempo dell’infanzia nella corsa alle competenze.

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